Studio sulla tecnica di fusione dei rilievi della Porta del Paradiso
Salvatore Siano1, Piero Bertelli2, Marcello Miccio3, Ferdinando Marinelli2
1) Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” – CNR, Sesto Fiorentino
2) Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, Barberino V. Elsa (FI)
3) Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Firenze
- Note introduttive
“Condotta con grandissimo studio e disciplina, delle mie opere la più singulare opera ch’io abbia prodotta et con ogni arte et misura et ingegno è stata finita.” Così il Ghiberti dei Commentarii sulla Porta del Paradiso, interamente volto a preservare con la scrittura i principi che animano la pittura e la scultura, ormai pronte al passaggio dal dominio artigianale a quello delle arti liberali, oltre che a sottolineare il proprio ruolo cruciale nel contesto del primo Rinascimento.
A parte qualche riferimento alla materia prima, le memorie del Ghiberti non contemplano la riscoperta delle tecniche di fonderia artistica a valle dei “templi bianchi” ne, tanto meno, i procedimenti da lui utilizzati per la restituzione in metallo del progetto artistico. Forse perché non considerava i tempi maturi per provare a dare dignità anche al dominio operativo, o più semplicemente perché la trattazione delle metodologie esecutive era stata prevista più oltre nel programma incompiuto dei Commentarii. L’assenza di riferimenti all’importanza e ai metodi della metallotecnica, a cui dedicheranno invece attenzione vari autori del secolo successivo, non pare comunque giustificabile solo ed esclusivamente nell’intenzione di non rivelare procedimenti di bottega. A maggior ragione se si tiene conto del fatto che già dall’inizio del Quattrocento, con la realizzazione della seconda porta del Battistero, la bottega del Ghiberti era diventata un riferimento per tante altre (“ò … fatto grandissimi honori ne’ loro lavori”) e certamente costituiva il più importante centro di formazione di fonderia artistica, frequentato da autorevoli artefici del primo Rinascimento come Michelozzo, Donatello, Paolo Uccello, Masolino e altri (Krautheimer 1956).
È probabilmente proprio l’orgogliosa coscienza di un tale ruolo a motivare un’altra vistosa omissione del commentario dedicato all’Arte Moderna, dove Ghiberti non fornisce alcuna informazione sul suo percorso formativo, se si esclude un vago riferimento all’ambito familiare. Dichiara: “L’animo mio alla pittura era in grande parte volto” e poche righe sotto celebra la vittoria nel concorso per la realizzazione della seconda porta del Battistero in ottone, sua “prima opera” scultorea.
Nonostante queste grosse mancanze, le memorie del Ghiberti rappresentano l’unica fonte che fornisce un qualche indizio sulla metallotecnica del Quattrocento, da individuare soprattutto nella cronologia e nella descrizione dettagliata delle sue opere, come pure nella “gerarchia” materica che egli stabilisce (bronzo, ottone, ottone fine e oro). Di fatto, a fronte di una produzione bronzistica poderosa, non risultano trattati o documenti di archivio che forniscano informazioni sulle tecniche fusorie. Oltre alle memorie di Lorenzo, gli unici ulteriori contributi, che riguardano però sostanzialmente la preparazione delle forme per il getto di campane e artiglierie, si ricavano dallo Zibaldone di suo nipote Buonaccorso (Scaglia 1976) e dagli appunti di Leonardo da Vinci (Codice Atlantico), databili attorno alla fine del secolo.
Quanto dei procedimenti di bottega fu estrapolato da “antichi commentarii”, dall’opera enciclopedica di Plinio (Naturalis Historiae), dal trattato di Teofilo (De Diversis Artibus) o da altre fonti andate perdute e quanto di nuovo fu introdotto, non può essere dunque ricostruito attraverso l’analisi di testimonianze dirette o indirette, ne trasferendo tout court al secolo precedente le descrizioni tecniche di Gaurico, Vasari, Cellini e Biringuccio che già all’interno del loro contesto richiedono interpretazione, verifica ed integrazione su tanti aspetti operativi.
- Studio tecnologico della Porta del Paradiso
Già da alcuni decenni ormai, si è andata consolidando la convinzione che la storia della fonderia artistica possa essere scritta solo con l’ausilio di un approccio scientifico multidisciplinare, basato sull’esame obiettivo e l’analisi strumentale dei singoli manufatti, come pure sulla sperimentazione. È in questo modo che è stata ricavata una notevole mole di dati sui procedimenti antichi e cominciano ad emergere i primi importanti risultati sulla bronzistica rinascimentale, anche se in entrambe i casi siamo ben lungi da un quadro esaustivo e non mancano controversie e interpretazioni talvolta molto discutibili.
Vari ordini di problemi rendono la ricostruzione dei procedimenti tecnici attraverso il rilievo di tracce di lavorazione, peculiarità macro e micro-strutturali, analisi composizionali e sperimentazione, particolarmente complessa. Essi sono legati all’intrinseca molteplicità interpretativa del dato archeometrico, alla non facile determinazione di dati analitici affidabili e rappresentativi e alle difficoltà che si incontrano nell’impostare, condurre e sintetizzare uno studio multidisciplinare.
Queste ultime hanno particolare rilevanza. Troppo spesso infatti, anche a fronte di analisi valide, il risultato dell’indagine è rappresentato da sintesi distinte, in cui ogni competenza cerca di dare interpretazioni intrinsecamente coerenti, quasi schivando l’interazione, il raccordo e la sintesi armonica con le altre.
È nella piena coscienza di queste problematiche e della necessità di superare, i limiti di impostazioni ed interpretazioni che spaziano dal “troppo accademico” al “troppo empirico”, che si sviluppa l’approccio della ricerca sui bronzi rinascimentali promossa dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La ricetta di lavoro scelta si fonda su un costante coordinamento di vari contributi disciplinari e professionali, che assicura l’interazione e il raggiungimento di risultati condivisi.
All’interno di questa ricerca, lo studio sui procedimenti esecutivi della Porta del Paradiso, intesa come sintesi più rappresentativa delle conoscenze metallotecniche maturate nella bottega del Ghiberti, costituisce un passaggio fondamentale. La possibilità di eseguire un esame accurato delle dieci formelle principali e delle otto formelle del fregio smontate per il restauro, unitamente alla disponibilità di metodi analitici avanzati, permette oggi di affrontare in modo esaustivo questo studio, superando tutta una serie di limitazioni incontrate dai gruppi di lavoro che in passato si sono cimentati su alcuni specifici aspetti tecnologici di questo complesso capolavoro (Leoni 1968, Cesareo 1976, Leoni 1981, Parrini 1983).
Nel presente contributo, riportiamo una sintesi degli sviluppi interpretativi sulla tecnica di fusione delle formelle, formulata sulla base dei dati ricavati dall’esame obiettivo e l’analisi delle leghe di nove delle dieci formelle principali della porta, dalle radiografie della formella VIII (Storie di Giosué), dalla sperimentazione e da quanto già emerso nell’indagine metallurgica di primi anni ottanta (Parrini, 1983).
- La formatura delle cere
Osservando il retro delle formelle, ci si rende immediatamente conto che gli incavi ivi presenti seguono generalmente, anche se solo grossolanamente, i rilievi frontali. Così ad esempio, nel caso della formella II (Storie di Caino e Abele), si può notare come il retro riproduca in negativo non solo le tre figure aggettanti in basso (la coppia di buoi e le due raffigurazioni di Caino), ma anche tutto il resto, incluso rilievi minimi come ad esempio quelli della scena del sacrificio (Fig. 1).
Una tale caratteristica è propria di una fusione a cera persa indiretta, in cui la formatura del rilievo in cera (positivo) che sarà fuso in metallo, avviene in un calco (negativo) del modello di partenza, scolpito in materiale plastico (cera, creta o altro). Nel caso delle formelle, la realizzazione del calco implica il taglio opportuno degli aggetti dal modello, sul quale viene anche lasciato abbozzato ogni altro sottosquadro che può creare impedimento all’estrazione.
L’utilizzo della tecnica indiretta, definita efficacemente da Leoni “a modello salvo” (Leoni 1984), è supportato anche dalla presenza di numerosi altri dettagli morfologici individuati sul retro delle formelle, la cui superficie riproduce con notevole grado di definizione quella della cere di fusione, fatta eccezione per le zone scalpellate e/o abbassate a cesello.
Le molte gocce, segni di pennellate e ispessimento manuale degli spigoli, che in qualche caso portano impresse impronte digitali (Fig. 2), confermano infatti che le varie operazioni di formatura della cera sono state effettuate dal retro dei rilievi, operando all’interno di un calco posizionato orizzontalmente. Inoltre, tali evidenze forniscono indicazioni sulle modalità utilizzate per portare a spessore le cere.
In particolare, profili regolari e livellati, unitamente alla presenza di spigoli “rinforzati” mediante applicazioni locali di cera, suggeriscono l’utilizzo della cosiddetta tecnica “a sciacquo”, eseguita verosimilmente dopo l’applicazione di un primo strato sottile a pennello per “copiare” al meglio tutti i dettagli della superficie del calco.
Lo sciacquo consiste nel colmare con cera liquida l’intera cavità del calco e attendere per un tempo sufficiente affinché si abbia solidificazione in vicinanza della parete, entro lo spessore desiderato. Trascorso questo tempo, la cera in eccesso,
ancora liquida, viene recuperata riversandola in un contenitore. In questo modo si ottiene uno spessore abbastanza omogeneo, fatta eccezione talvolta per gli spigoli degli incavi, dove lo scorrimento della cera calda può causare assottigliamenti che richiedono applicazioni manuali di cera (rinforzi) come quelle chiaramente riconoscibili su alcune formelle (Fig. 2).
Fig. 2 Retro della formella I (Storie di Adamo ed Eva) dove è schematizzata la corrispondenza con il rilievo frontale e si notano le tracce di un’alberatura di canali adiacenti alla superficie. I dettagli a destra evidenziano la presenza di gocce e impronte digitali.
Quando, accanto alle caratteristiche morfologiche indicate sopra, si riscontrano anche tracce diffuse di pennello, è indicativo del fatto che, dopo lo sciacquo e l’eventuale rinforzo degli spigoli, è stata presumibilmente applicata un’ulteriore “stesura” di cera liquida, localmente o su tutta la superficie. L’operazione è stata evidentemente condotta al fine di aumentare lo spessore raggiunto con lo sciacquo, giudicato insufficiente in fase di verifica. Viceversa, in assenza di tracce di pennello, profili modulati da brevi ondulazioni, a cui corrispondono talvolta impronte digitali, ci dicono che l’operazione finale di ispessimento della parete è stata un’applicazione (locale o generalizzata) mediante spalmatura manuale di una cera molle facilmente modellabile.
A questa seconda classe appartengono le formelle VI (Storie di Giuseppe ebreo), VII (Storie di Mosè), VIII (Storie di Giosuè), IX (Storie di David) e, ad una prima occhiata, III (Storie di Noè), anche se la spalmatura manuale non è sempre facilmente riconoscibile, poiché le tracce che essa lascia dipendono fortemente dalla plasticità della cera e dalla tecnica dell’operatore. Di fatto, essa è vistosamente evidente solo sul retro della formella VII, per la presenza di caratteristiche deformazioni date dalla pressione e spinta del pollice e la corrispondente presenza di un gran numero di impronte (Fig. 3).
Presentano invece tracce di spennellatura su tutta la superficie o buona parte di essa le formelle II (Storie di Caino e Abele), IV (Storie di Abramo) e X (Visita della regina di Saba a Salomone). In quest’ultimo caso i segni di pennello sono poco leggibili, forse a causa dell’impiego di una cera grumosa o di una terra grossolana su cera molle. Situazioni intermedie sono rappresentate dalla formella I (Storie di Adamo ed Eva), con tracce di pennello sulla parte alta e con applicazioni manuali nella parte
bassa, e V (Storie di Esaù e Giacobbe), spennellata solo agli estremi alto e basso, con apparentemente pochi interventi manuali nella restante zona centrale.
Fig. 3 Dettagli del retro della formella VII (Storie di Mosè) che mostrano gli evidenti segni di applicazione manuale della cera.
L’utilizzo della tecnica a modello salvo e la deduzione dei procedimenti di formatura delle cere, hanno trovato una conferma nei risultati emersi dall’analisi dei rilievi digitali tridimensionali. A titolo di esempio, in Fig. 4 sono mostrati due dettagli dei profili delle formelle I e VII da cui risulta chiaramente la stretta corrispondenza fronte-retro e la maggiore gradualità della prima rispetto alla seconda, contro le ingiustificate variazioni di spessore che si osservano nella formella VII, attribuibili a deformazioni manuali.
Nel caso di quest’ultima, la presenza di tali forti modulazioni da spalmatura e lo spessore mediamente minore rispetto ad altre formelle (quelle analizzate sono I, II e VI), ci hanno indotto a pensare ad una formatura interamente condotta manualmente. L’importanza di una tale eventuale conclusione, merita però ulteriori verifiche e approfondimenti strumentali da estendere all’intero gruppo che presenta profili superficiali da spalmatura.
Assumendo la validità delle precedenti interpretazioni, possiamo facilmente ipotizzare i passaggi successivi alle operazioni già descritte, sulla base dei tipici procedimenti di fonderia artistica ancora in uso. Al termine della formatura nel calco, il rilievo in cera è stato verosimilmente estratto per essere completato operando sulla parte frontale, dove sono stati montati gli aggetti precedentemente staccati dal modello e formati a parte. Sono state quindi scolpite (in diretta) eventuali zone in sottoquadro lasciate abbozzate onde consentire l’estrazione del calco e, più in generale, sono stati rifiniti una varietà di dettagli. L’ultima operazione sulla formella in cera, prima della copertura con una terra di fusione adeguata, è stata l’applicazione dei canali di colata.
4.Canali di colata
Le indagini radiografiche svolte sulla formella VIII (Storie di Giosuè), in accordo con quanto già osservato negli anni ottanta per le formelle II, VI, e IX, hanno messo in luce la presenza di macroporosità concentrate nella parte alta del rilievo bronzeo (Fig. 5). La frequenza di questo fenomeno porta ad escludere il posizionamento orizzontale delle forme durante il getto, anche se non permette di stabilire se esse erano perfettamente verticali ne, tanto meno, se i rilievi erano in posizione naturale (eretta) o rovesciata.
Tutto ciò è estremamente interessante, in considerazione del fatto che non sono stati documentati altri casi di simili canalizzazioni su opere bronzee. Normalmente, oggi, e si ritiene anche in passato, i canali di colata sono disposti a risalita (a sifone) e connessi alla superficie di fusione formando un certo angolo di incidenza rispetto alla direzione perpendicolare, diciamo tra 0° e 60°, comunque mai parallelamente (90°), come nel caso presente.
Di fronte alle strane disposizioni risultanti dalle impronte, ci siamo innanzitutto chiesti se esse corrispondessero realmente ad alberature di canali di colata, dal momento che nel corso dell’ispezione era stata anche formulata l’ipotesi che dette tracce potessero essere state lasciate da una struttura di sostegno per la cera realizzata con canne, bruciate durante la cottura della forma e riempite di metallo dal getto.
L’approfondita osservazione delle superfici e dei tratti di canali residui sulla formella IX (Storie di David) ci ha permesso di verificare che tale struttura, applicata al termine delle operazioni per portare a spessore la cera, è stata effettivamente realizzata con canne di diametro opportuno, ripulite e tagliate a misura. Queste sono state appoggiate alla superficie, unite tra loro con cera molle e fermate, similmente, con piccole applicazioni di cera (Fig. 6). Ciononostante, stante la peculiarità e notevole variabilità dei segni da strappo osservabili sul retro delle formelle e alla blanda adesione delle canne alla formella in cera che da essi si evince, possiamo escludere che la struttura sia stata concepita come un sostegno. Essa sarà risultata forse di un qualche ausilio durante la sformatura del rilievo in cera dal calco e le successive manipolazioni, ma costituiva primariamente un sistema di canali colata.
I dati fin qui emersi, permettono di interpretare la scelta di una canalizzazione di colata adiacente alla superficie della formella come un’ingegnosa soluzione che ha consentito all’artefice di superare le difficoltà di un getto relativamente sottile per la sua estensione, complicato ancora di più dall’utilizzo di una lega soggetta a rapida solidificazione (vedi oltre). Verosimilmente Ghiberti è giunto a un tale schema ottimale attraverso una lunga fase di sperimentazione.
Oltre ai contatti stabiliti tra formella e canali retrostanti, l’esame obiettivo ha messo in luce tracce di prevedibili collegamenti frontali tra le teste delle figure aggettanti e il piano principale della formella, ma non di altri ingressi, fatta eccezione per un ulteriore probabile canale sul retro delle formelle II (Storie di Caino e Abele) e VI (Storie di Giuseppe ebreo).
Per completare la descrizione del getto rimane dunque da risolvere un quesito fondamentale: in quali punti e in che modo il metallo fuso entrava nella canalizzazione fin qui descritta?
Ci sono due approcci possibili. Osservando che il prolungamento ideale del canale centrale e i due angolari della parte bassa della formella (Fig. 6), in tutti i casi, individua un’intersezione poco al di sotto della base, sembrerebbe naturale collocare in tale punto di incontro quella che i fonditori toscani chiamano la bevera (imbuto d’ingresso del metallo). In tal caso, la fusione è avvenuta con il metallo in caduta nella forma posta con le figure capovolte. Viceversa, se consideriamo una fusione in posizione naturale, si giunge in maniera quasi obbligata ad uno schema di getto a risalita. Se si esclude poi che, per evidente impraticabilità, il metallo potesse fluire da un unico punto d’ingresso posto in basso in corrispondenza del già citato punto d’incontro dei canali, non rimane che ipotizzare l’alimentazione dell’alberatura a contatto con un’ulteriore sistema di canali più distanti dalla superficie.
Seguendo questa strada però, risulta poco immediato giustificare la funzione di canali che corrono sulla parete. In un precedente lavoro (Siano 2005) abbiamo ipotizzato che tale disposizione longitudinale potesse avere un ruolo di sfiato ed essere utile a ridurre il numero di bolle nel fuso, qualora la forma fosse stata posta in posizione non perfettamente verticale, ma leggermente inclinata. Questa impostazione, nonostante la sua complessità è stata presa in considerazione poiché essa è più vicina alla concezione della fonderia moderna rispetto al getto a caduta, e forniva quindi maggiori aspettative di successo nella sperimentazione in programma.
5.Leghe
Le composizioni delle leghe utilizzate per la fusione delle formelle della Porta del Paradiso sono sostanzialmente diverse da quelle usate dal Pisano per la fusione della prima porta e dallo stesso Ghiberti per la seconda e i telai della stessa Porta del Paradiso. Nonostante si tratti in tutti i casi di leghe quaternarie di rame (Cu), zinco (Zn), stagno (Sn) e piombo (Pb), con tracce non trascurabili di ferro e antimonio c’è un’enorme differenza nelle frazioni di peso relative. Invece delle alte quantità di zinco dei lavori precedenti (dal 10 al 20 wt% circa), che sommate allo stagno e al piombo portano a valori compresi tra il 17 e il 26% (somma dei metalli bianchi), sembra proprio che per la realizzazione delle formelle venga progettata ex-novo una lega bronzea a basso contenuto di alliganti. In Tab. 1 sono riportate le analisi di tre formelle, scelte per rappresentare l’intera situazione composizionale.
La lega della formella IX (Storie di David) è quella a minor contenuto di alliganti, con un totale di metalli bianchi del 2.64 wt%, mentre per tutte le altre questa percentuale è compresa tra quella della formella VII (Storie di Mosè) e quella della formella I (Storie di Adamo ed Eva), maggiormente alligata.
Fig. 6 Schemi delle alberature di canali sulle formelle VIII (Storie di Giosuè) e IX (Storie di David) inizialmente realizzate con canne. I tratti bianchi nel primo indicano le zone di contatto con la parete del rilievo evidenziate da segni di strappo e tagli a scalpello. Il dettaglio della superficie metallica a destra mostra le tracce dell’attaccatura a cera della parte terminale di una canna.
Nei resoconti della precedente campagna radiografica, il dato delle “bolle in alto” è stato utilizzato come evidenza del posizionamento verticale delle forme, rimanendo sottinteso il verso naturale delle figure. Non è stato però affrontato il grosso problema di stabilire la compatibilità di una tale interpretazione con le complesse tracce di canali che si riscontrano sul retro di tutte le formelle, ossia non sono state formulate ipotesi sulla configurazione e dinamica del getto. Prima di addentrarci in questo importante aspetto, riassumiamo le evidenze.
Sul retro di tutte le formelle, sono presenti “strane ramificazioni” (Fig. 2) interpretabili come tracce di canali che correvano lungo la superficie. Le lacune da strappo e i segni di taglio a scalpello prodotti in fase di nettatura, testimoniano che in
tali canali è passato il metallo fuso e che essi erano comunicanti con la cavità principale della forma in varie zone. La Fig. 6 mostra il retro delle formelle VIII (Storie di Giosuè) e IX (Storie di David) e in cui è schematizzata la disposizione che si evince dalle tracce presenti. Per la formella VIII sono anche evidenziate in bianco le zone principali in cui è avvenuto scambio di metallo liquido tra i canali e la cavità del rilievo, esse corrispondono alle lacune da strappo e ai tagli menzionati poco sopra.
Campione | Cu wt% | Sn wt% | Pb wt% | Zn wt% | Fe wt% | Ni wt% | Ag wt% | Mn wt% | Au wt% | Co wt% | Sb wt% |
VII (Mosé) | 93.51 | 0.13 | 1.14 | 3.78 | 0.13 | 0.14 | 0.06 | 0.00 | 0.00 | 0.00 | 0.13 |
Metalli bianchi | 5.05 | ||||||||||
I (Adamo ed Eva) | 91.12 | 2.09 | 1.37 | 3.43 | 0.47 | 0.22 | 0.05 | 0.00 | 0.00 | 0.03 | 0.44 |
Metalli bianchi | 6.89 | ||||||||||
IX (David) | 95.19 | 0.70 | 0.84 | 1.10 | 0.38 | 0.17 | 0.05 | 0.00 | 0.00 | 0.02 | 0.50 |
Metalli bianchi | 2.64 |
Tab. 1. Composizione media rappresentativa di tre formelle
Leghe siffatte si prestano bene a lavorazioni meccaniche di cesellatura e scalpellatura e, per l’alto contenuto di rame e basso contenuto di piombo, sono adatte alla doratura ad amalgama di mercurio. Il basso alligaggio e minime quantità di piombo comportano però una bassa fluidità e temperature di solidificazione relativamente alte, il rende la fusione problematica. Come per la canalizzazione del getto, anche la scelta del tipo di lega rappresenta certamente un punto di arrivo fondamentale dello studio preparatorio condotto dall’artefice. È ragionevole ritenere che la complessa canalizzazione sia diretta conseguenza della scelta della lega.
6. Sperimentazione
A valle delle indagini fin qui descritte, al fine di approfondire la relazione tra i dati emersi e le varie fasi esecutive individuate e soprattutto per giungere ad un’interpretazione univoca della configurazione del getto, abbiamo ritenuto utile condurre un’accurata sperimentazione in fonderia.
A partire da un calco della formella V (Storie di Esaù e Giacobbe) in gomma siliconica, privato delle parti più aggettanti delle figure in basso, sono state realizzate a sciacquo due copie in cera. In accordo con le deduzioni dell’esame obiettivo, dopo lo sciacquo, è risultato necessario eseguire un rinforzo di alcuni spigoli a valle dello sciacquo. Inoltre per il primo dei due rilievi, a causa di una sottostima temporale, è stato anche necessario un ispessimento manuale generalizzato.
Come canalizzazione a contatto è stata assunta quella riscontrata sul retro della formella VIII (Storie di Giosuè), per la quale avevamo condotto un’approfondita indagine radiografica. I canali sono stati realizzati con pezzi di canna collegati tra loro a cera. Piccole quantità di cera sono state poi spalmate nelle cavità tra le canne e la parete della formella, onde assicurare il buon contatto e quindi scambio di metallo fuso in fase di getto.
Sformati i rilievi, solo per uno dei due sono state eseguite le finiture in diretta sulla parte frontale, mentre l’altro è stato lasciato come da calco. Si è proceduto quindi all’applicazione dei canali di trasferimento dalla bevera all’alberatura su retro, seguendo le due diverse impostazioni descritte sopra e i corrispondenti canali di sfiato. Per questa prima prova, in entrambe i casi abbiamo preferito massimizzare il numero di canali di colata, sfruttando il più possibile la cornice dove eventuali attacchi potrebbero essere stati resi irriconoscibili dalla nettatura. In Fig. 7 sono riassunte le varie fasi sperimentazione fin qui descritte. Si noti che nella foto Fig. 7e l’alberatura a caduta è posta su una copia della formella VI (Storie di Giuseppe), che sarà poi sostituita da un’altra copia della formella V (Storie di Esaù e Giacobbe) nel corso della sperimentazione.
Con l’obiettivo di ottenere anche una prima simulazione della copertura di fusione, abbiamo eseguito una serie di prove preliminari utilizzando un impasto terroso il più possibile simile a quello ritrovato in piccole quantità sul retro delle formelle, costituito da legante argilloso, sabbia e fibre vegetali (stoppa). Questa miscela di materiali, totalmente diversa dal loto oggi impiegato nella fonderia artistica (gesso più gesso spento), rendono la costruzione del mantello molto complessa e lunga.
Dopo un’accurata spennellatura della cera con un impasto più fine e privo di fibre vegetali, essa va eseguita a piccoli strati, aspettando ad ogni applicazione la completa e graduale asciugatura dello strato precedente. Stante la criticità di questa operazione, che rischiava di compromettere l’intera sperimentazione, ci siamo limitati alla realizzazione di uno spessore a terra di qualche centimetro solo su una delle formelle (Fig. 8a e 8b), completando la costruzione del mantello con loto moderno, usato anche per la copertura della seconda formella. È utile notare che la realizzazione di uno strato in terra di pochi centimetri ha richiesto oltre un mese di lavorazione.
Dopo la copertura, le forme sono rimaste ad asciugare per qualche giorno. Sono state quindi sottoposte ad un primo moderato riscaldamento per l’estrazione della cera e infine cotte gradualmente fino ad una temperatura massima di circa 600 °C. Dopo il raffreddamento lento, le forme sono state interrate in posizione leggermente inclinata e infine colmate di metallo fuso, utilizzando una lega quaternaria di composizione vicina alla media di quelle misurate per le varie formelle.
Per la formella con canalizzazione a caduta e copertura in gesso, è stato ottenuto un ottima fusione (Fig. 8f), con pareti integre, poche bave e buona finitura superficiale. Questo risultato è molto importante poiché dimostra la praticabilità del getto a caduta, ipotizzato qui per la prima volta.
Dopo un’accurata spennellatura della cera con un impasto più fine e privo di fibre vegetali, essa va eseguita a piccoli strati, aspettando ad ogni applicazione la completa e graduale asciugatura dello strato precedente. Stante la criticità di questa operazione, che rischiava di compromettere l’intera sperimentazione, ci siamo limitati alla realizzazione di uno spessore a terra di qualche centimetro solo su una delle formelle (Fig. 8a e 8b), completando la costruzione del mantello con loto moderno, usato anche per la copertura della seconda formella. È utile notare che la realizzazione di uno strato in terra di pochi centimetri ha richiesto oltre un mese di lavorazione.
Dopo la copertura, le forme sono rimaste ad asciugare per qualche giorno. Sono state quindi sottoposte ad un primo moderato riscaldamento per l’estrazione della cera e infine cotte gradualmente fino ad una temperatura massima di circa 600 °C. Dopo il raffreddamento lento, le forme sono state interrate in posizione leggermente inclinata e infine colmate di metallo fuso, utilizzando una lega quaternaria di composizione vicina alla media di quelle misurate per le varie formelle.
Per la formella con canalizzazione a caduta e copertura in gesso, è stato ottenuto un ottima fusione (Fig. 8f), con pareti integre, poche bave e buona finitura superficiale. Questo risultato è molto importante poiché dimostra la praticabilità del getto a caduta, ipotizzato qui per la prima volta.
Non sono disponibili documenti che riportano espliciti riferimenti alla metodologia operativa qui dimostrata, ma, a tal proposito, ci sembra utile proporre qualche commento sui trattati del Cinquecento e sulle memorie Ghiberti.
La descrizione dettagliata del Vasari di tutti i passaggi del metodo indiretto (scultura del modello, realizzazione del calco, sciacquo etc.) ci fa intendere che si tratta di una procedura largamente utilizzata. Inoltre, egli sostiene che per la seconda porta del Battistero, Ghiberti iniziò il lavoro realizzando “un telaio grande di legno…con gli ornamenti delle teste …e con que’ fregi che andavano intorno” da cui ricavò la forma. Avrebbe quindi eseguito un modello salvo del telaio che, sempre in base all’aneddotica del Vasari, gli tornerà subito utile per fare un’altra forma, dopo che la prima fusione era andata male. Come già detto nelle note introduttive, bisogna considerare con molta cautela il contenuto tecnico dei trattati cinquecenteschi. Qui, accanto all’importanza del racconto in se, ci sembra interessante notare come un cultore di tecniche del Cinquecento descriva con gran naturalezza quello che invece uno della fine del Trecento, come Cennino Cennini, non accenna nemmeno. Quest’ultimo infatti parla di calchi in gesso o in cera e di getti in cera utili alla ricomposizione di un modello tratto a pezzi, ma per la restituzione in metallo egli rimanda ai fonditori (“Abbi pur maestri sofficienti, che del fondere e del buttare s’intendano.”) oppure parla di fusioni piene in piombo.
La possibilità di ripetere il getto e di integrare parti mancanti del fuso rientrano, infatti, tra le motivazioni che inducono a creare un modello, ma per un’opera complessa come la Porta del Paradiso ve ne sono anche altre. Una la spiega con gran chiarezza il Cellini: “avendo quel bel modello innanzi finito, molti giovani ed altri bonissimi lavoranti possono aiutare a rinettare la detta figura, che, non avendo il modello innanzi, con mala satisfazione del povero maestro, rinettano quelle tale opere di modo che vi si mette più tempo e si conducono manco bene”.
Come anticipato, anche nelle memorie del Ghiberti sembra di scorgere qualche velato riferimento alla metodologia esecutiva. Nel suo racconto infatti, il concepimento delle dieci formelle è descritto come primo atto e in modo unitario: “Cominciai detto lavorio in quadri …istorie del testamento vecchio nelle quali mi ingegnai con ogni misura osservare in esse …condussi detta opera …Furono istorie dieci tutti in casamenti, colla ragione che l’occhio gli misura e veri in modo tale, stando remoti, da essi appariscono rilevati”.
Cosa scorre nella mente dell’artista mentre, a distanza di molti anni, ricorda le varie fasi della nascita del capolavoro? Come, e su cosa si svolge il suo travaglio creativo? Modella, corregge e integra osservando a fondo le scene della singola formella, ma sembra proprio che egli faccia riferimento anche alle scelte figurative e alle correzioni prospettiche decise e condotte sull’intero gruppo scultoreo che, a titolo di ipotesi, possiamo immaginare collocato in un telaio di legno come quello riferito dal Vasari per la seconda porta. Una prova indiretta, anche se non rigorosa, di questo modo di procedere sembra emergere dalle complesse relazioni metriche tra le figure delle varie formelle. Solo per portare un esempio, sono l’occhio e la mente che restituiscono armonia tra l’altissima Eva e il vicino giovane Caino, un po’ più basso, e gli ancora più bassi portatori di pietre, più prossimi allo sguardo dell’osservatore. Come ha efficacemente sintetizzato il Vasari (“Nella qual opera, da per se e tutta insieme …”), l’approccio unitario è poi riconoscibile nelle scelte figurative (Krautheimer 1956, Paolucci 1996, Caglioti in questo volume). La più evidente dal punto di vista puramente prospettico è data dalla collocazione delle figure, dalle poche della parte alta alle moltitudini delle formelle più prossime all’osservatore. Se nel primo caso ciò è stato in parte determinato dalle esigenze di narrazione, nel secondo sembra proprio che si tratti di un effetto voluto.
Sia ben chiaro, non disponiamo di dati incontrovertibili per poter dire che le dieci formelle sono state concepite tutte assieme, in un dato arco di tempo, o in gruppi. Siamo condotti a considerare queste possibilità, come pure un’attività creativa che avanza con buon margine di tempo rispetto a quella fusoria, dall’evidenza del metodo indiretto. Ci sembra viceversa improbabile che il Ghiberti operi sul gruppo figurativo dando disposizioni per il calco, la formatura e la fusione, subito dopo aver scolpito il modello della singola formella, a meno di non spostare l’intera fase progettuale al disegno preparatorio. Nei prossimi lavori porteremo approfondimenti su questi aspetti che, coinvolgendo appieno l’ambito stilistico e archivistico, richiederanno ulteriori scambi e sintesi multidisciplinare. Torniamo intanto all’oggetto principale del presente lavoro: la tecnica di fusione.
Qual’è la materia scelta dall’artista per la creazione dei modelli? Essa doveva consentire una facile e precisa modellabilità, correzioni e integrazioni eventualmente su tempi relativamente lunghi. È molto probabile che si trattasse di cera, la prima materia che Vasari indica per figure piccole. Dai modelli in cera si passava verosimilmente ai calchi in gesso e da questi alla formatura dei rilievi per la fusione, essenzialmente a sciacquo.
Accanto ai vantaggi del metodo indiretto già citati, è molto importante ricordare qui che la formatura in calco costituisce il modo migliore per realizzare pareti sottili che, se da un lato consentono risparmio e leggerezza del fuso, dall’altro costituiscono per Lorenzo un ulteriore elemento di emulazione dell’antico. Questo obiettivo tecnico non si era ancora manifestato con le grandi fusioni del San Giovanni e del San Matteo, mentre si percepisce chiaramente nei rilievi della Porta del Paradiso ed è interessante notare come esso sia evidente anche nelle opere di Donatello degli anni trenta (Siano 2005). Prima di trarre conclusioni su quest’aspetto, è di fondamentale importanza condurre un’indagine approfondita anche sulla prima porta.
Ancora il Vasari, nel riconoscere all’artista “l’artificiosissimo magistero del getto”, mostra gran considerazione per quest’aspetto metallotecnico. Egli lo indica come gran segreto della bottega dei Ghiberti, a cui terrà fede anche Buanaccorso nel suo Zibaldone, dove per la verità non fornisce alcun dettaglio sulle modalità di getto e sulle leghe (Scaglia 1976).
Il metodo indiretto e lo sciacquo costituiscono di fatto una parte del “segreto di gettare le cose in modo che venissono sottili”, di cui risulta difficile individuare la valenza generale per mancanza di dati su opere precedenti, l’altra è data dalla disposizione dei canali di colata, dalla scelta della terre di fusione e dalla corretta costruzione del mantello. Per motivi di spazio, degli aspetti tecnici relativi alle terre scriveremo altrove, vogliamo invece qui riportare un approfondimento sul primo punto e l’importante conclusione a cui esso ci ha condotti.
Prima della sperimentazione, anche noi come chi ci ha preceduto, avevamo trascurato un aspetto che era lì, sotto gli occhi di tutti da circa venti anni. Le porosità che si vedono nelle radiografiche, da sempre definite come bolle, in buona parte non sono bolle in senso stretto. Vale a dire esse non sono state prodotte da gas. Viceversa, si tratta di cavità metalliche che intrappolano pezzi di terra del mantello trasportati nella forma dal flusso di metallo fuso. Questo è messo in luce con chiarezza nel particolare radiografico di Fig. 10, dove i profili poligonali delle cavità metalliche non sono certamente stati generati da intrappolamento di gas. I frammenti di mantello che esse racchiudono, si sono staccati in corrispondenza della ramificazione di canali applicati sul retro della formella, come si evince dalla superficie irregolare e casuale delle zone di imparentamento riconoscibili sopra le frecce in Fig. 10.
Tutto ciò permette di affermare che, dopo la formatura e finitura del rilievo in cera, Ghiberti preparava un getto a caduta mediante una “artificiosissima” canalizzazione che correva lungo il retro della formella. Soluzione verosimilmente dettata dal fatto che la colata attraverso un certo numero di canali di discesa applicati sul lato alto della cornice, non forniva buoni risultati, a causa della scarsa fluidità e rapida solidificazione della lega. La composizione di quest’ultima era vincolante, poiché essa era stata ottimizzata per ottenere una facile lavorabilità a freddo e una buona doratura finale ad amalgama, decisa fin dapprincipio.
Il flusso di metallo che raggiungeva la cavità attraverso i canali, era in grado di complementare efficacemente l’alimentazione proveniente dalla base della cornice posta in alto, grazie al cammino minimizzato e alla distribuzione sull’intera ampiezza della formella. Questo artificio produceva anche una moderazione del flusso di metallo attraverso le figure più aggettanti, contribuendo così a prevenire gravi effetti erosivi che avrebbero peggiorato notevolmente il risultato di fusione.
Le tracce dei canali oggi osservabili ci inducono a ritenere che essi fossero poco più che appoggiati al retro delle formelle e che la copertura terrosa quasi li isolava dalla cavità della forma. Ciò implica che all’atto del riempimento, il metallo fuso si faceva strada rompendo in parte le fragili pareti terrose in prossimità della minima distanza tra il canale e la forma vera e propria. Si trattava di un altro trucco ingegnoso per poter facilmente rimuovere la struttura metallica che i canali lasciavano dopo la fusione. Lui sapeva che questo modo di procedere “sporcava” il getto nella parte piana, ma evidentemente questo era considerato un male necessario. Per la verità, ci siamo addirittura chiesti se la presenza di frammenti di forma nel getto non fosse addirittura un fatto voluto, ma al momento una tale eventualità non sembra sostenibile in alcun modo.
Per i dieci rilievi sono state realizzate almeno cinque diverse canalizzazioni Questo suggerisce due possibili ipotesi diametralmente opposte. Da un lato si potrebbe pensare ad una serie di incidenti in corso d’opera che hanno richiesto la ripetizione di alcune fusioni e indotto ripensamenti sui canali di colata, dall’altro, che l’idea di base fosse considerata così solida da lasciare agli addetti di bottega una certa libertà d’interpretazione. Proprio perché in tutti i casi è fatto salvo il principio dell’aderenza e della distribuzione dei canali sull’intera superficie delle formelle, riteniamo allo stato questa seconda possibilità decisamente più verosimile della prima.
8. Note finali
In questo lavoro, sono stati presentati dati e argomentazioni che costituiscono un significativo avanzamento conoscitivo sulla tecnica esecutiva della Porta del Paradiso e, più in generale, sulla fonderia artistica del primo Rinascimento. Le conclusioni raggiunte aprono una finestra sulla grande inventiva tecnica di Lorenzo Ghiberti e sulle basi metodologiche che gli hanno consentito di sviluppare il suo ideale artistico attraverso la complessa disciplina della plastica bronzea, che nel caso della Porta del Paradiso diventa anche scultura in senso stretto, se si considera l’enorme lavoro a freddo che su di essa è stato condotto.
Molto rimane ancora da indagare sulla sua opera e su quella dei suoi più diretti collaboratori, per meglio comprendere quel virtuoso evolvere delle conoscenze metallotecniche che giungeranno a completa maturazione nel secolo successivo. Ed è proprio con un estratto del parere tecnico di uno dei massimi artefici del Cinquecento che ci piace concludere questo viaggio ideale nei luoghi sconosciuti di una delle più brillanti menti del Rinascimento. Scrive Cellini: “Lorenzo Ghiberti fu veramente orefice sì alla gentil maniera del suo bel fare, e maggiormente a quella infinita pulitezza et estrema diligenzia. Questo uomo si può mettere per uno eccellente orefice, il quale tutto impiegò e messe il suo ingegno in quell’arte del getto di cotali opere piccole … e per questo noi lo chiameremo veramente un buono maestro di getto: et a questa tale professione solo attese, e questa fece tanto bene, sì come ancora oggi si vede, che nessun altro uomo ancora non l’ha raggiunto…