Porte del Paradiso

Studio sulla tecnica di fusione dei rilievi della Porta del Paradiso

Salvatore Siano1, Piero Bertelli2, Marcello Miccio3, Ferdinando Marinelli2

1) Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” – CNR, Sesto Fiorentino

2) Fonderia Artistica Ferdinando Marinelli, Barberino V. Elsa (FI)

3) Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Firenze

  1. Note introduttive

“Condotta con grandissimo studio e disciplina, delle mie opere la più singulare opera ch’io abbia prodotta et con ogni arte et misura et ingegno è stata finita.” Così il Ghiberti dei Commentarii sulla Porta del Paradiso, interamente volto a preservare con la scrittura  i  principi  che  animano  la  pittura  e  la  scultura,  ormai  pronte  al  passaggio dal dominio  artigianale  a  quello  delle  arti  liberali,  oltre  che  a  sottolineare  il proprio ruolo cruciale nel contesto del primo Rinascimento.

A parte qualche riferimento alla materia prima, le memorie del Ghiberti non contemplano la riscoperta delle tecniche di  fonderia artistica  a  valle dei  “templi bianchi” ne,  tanto  meno,  i  procedimenti  da  lui  utilizzati  per  la  restituzione  in  metallo del progetto artistico. Forse perché non considerava i tempi maturi per provare a dare dignità anche al dominio operativo, o più semplicemente perché la trattazione delle metodologie esecutive era stata prevista più oltre nel programma incompiuto dei Commentarii.  L’assenza  di  riferimenti   all’importanza   e   ai   metodi   della metallotecnica, a cui dedicheranno invece  attenzione  vari  autori  del  secolo  successivo, non  pare  comunque giustificabile  solo   ed   esclusivamente   nell’intenzione   di   non rivelare procedimenti di bottega. A maggior ragione se si tiene conto del fatto che già dall’inizio del Quattrocento, con la realizzazione della seconda porta del  Battistero,  la bottega del Ghiberti era  diventata  un  riferimento  per  tante  altre  (“ò  …  fatto grandissimi honori  ne’ loro  lavori”) e certamente costituiva il più importante centro di formazione di fonderia artistica, frequentato da  autorevoli  artefici  del  primo Rinascimento come  Michelozzo,  Donatello,  Paolo Uccello, Masolino e  altri (Krautheimer 1956).

È probabilmente proprio l’orgogliosa coscienza di  un  tale  ruolo a  motivare un’altra vistosa omissione  del  commentario  dedicato  all’Arte  Moderna,  dove  Ghiberti non fornisce alcuna informazione sul suo percorso formativo, se si esclude un vago riferimento all’ambito familiare. Dichiara: “L’animo mio alla  pittura  era  in  grande parte volto” e poche righe sotto celebra  la  vittoria  nel  concorso  per  la realizzazione della seconda porta del Battistero in ottone, sua “prima opera” scultorea.

Nonostante queste grosse mancanze, le  memorie  del  Ghiberti  rappresentano l’unica fonte che fornisce un qualche indizio sulla metallotecnica del Quattrocento, da individuare soprattutto nella cronologia e nella descrizione dettagliata  delle sue opere, come pure nella “gerarchia” materica che egli  stabilisce  (bronzo,  ottone,  ottone  fine  e oro). Di fatto, a fronte di una produzione bronzistica poderosa, non risultano trattati o documenti di archivio che forniscano informazioni  sulle  tecniche  fusorie.  Oltre  alle memorie  di  Lorenzo,  gli   unici   ulteriori   contributi,   che   riguardano   però sostanzialmente la preparazione delle forme per il  getto  di  campane  e  artiglierie,  si ricavano dallo Zibaldone di suo nipote Buonaccorso (Scaglia 1976) e dagli appunti di Leonardo da Vinci (Codice Atlantico), databili attorno alla fine del secolo.

Quanto dei procedimenti di bottega fu estrapolato da “antichi commentarii”, dall’opera enciclopedica di Plinio (Naturalis Historiae),  dal  trattato di  Teofilo  (De Diversis Artibus) o da altre fonti  andate  perdute  e  quanto  di  nuovo  fu  introdotto, non può  essere dunque ricostruito  attraverso   l’analisi   di  testimonianze   dirette   o indirette, ne trasferendo tout court  al  secolo  precedente le  descrizioni tecniche  di  Gaurico, Vasari, Cellini e Biringuccio che già  all’interno  del  loro contesto  richiedono interpretazione, verifica ed integrazione su tanti aspetti operativi.

  1. Studio tecnologico della Porta del Paradiso

Già da  alcuni  decenni  ormai,  si  è  andata  consolidando  la  convinzione  che  la  storia della fonderia artistica  possa essere scritta solo  con  l’ausilio   di  un  approccio scientifico  multidisciplinare,  basato  sull’esame  obiettivo   e   l’analisi   strumentale  dei singoli manufatti, come pure  sulla  sperimentazione.  È  in  questo  modo  che  è stata ricavata  una  notevole  mole  di  dati  sui  procedimenti  antichi  e  cominciano  ad  emergere i primi importanti risultati sulla bronzistica rinascimentale, anche  se  in  entrambe  i  casi siamo ben lungi da un quadro esaustivo e non mancano controversie e  interpretazioni talvolta molto discutibili.

Vari ordini  di  problemi  rendono  la  ricostruzione  dei   procedimenti tecnici attraverso  il  rilievo  di  tracce  di  lavorazione,  peculiarità  macro   e   micro-strutturali, analisi composizionali e sperimentazione, particolarmente complessa. Essi sono legati all’intrinseca molteplicità interpretativa del dato archeometrico, alla non  facile determinazione di dati analitici  affidabili  e  rappresentativi  e  alle  difficoltà  che  si incontrano nell’impostare, condurre e sintetizzare uno studio multidisciplinare.

Queste ultime  hanno  particolare  rilevanza.  Troppo  spesso  infatti,  anche  a  fronte di  analisi  valide,  il  risultato  dell’indagine  è   rappresentato   da   sintesi   distinte,   in cui ogni  competenza cerca  di dare   interpretazioni   intrinsecamente   coerenti,   quasi schivando l’interazione, il raccordo e la sintesi armonica con le altre.

È nella piena coscienza di queste problematiche  e  della  necessità  di  superare,  i limiti  di  impostazioni  ed  interpretazioni  che  spaziano  dal  “troppo  accademico”   al “troppo empirico”, che si sviluppa l’approccio della ricerca sui bronzi  rinascimentali promossa dall’Opificio  delle Pietre Dure  di  Firenze. La  ricetta di  lavoro scelta   si fonda su un costante coordinamento di vari contributi disciplinari e professionali, che assicura l’interazione e il raggiungimento di risultati condivisi.

All’interno di questa ricerca, lo studio sui procedimenti esecutivi della Porta del Paradiso, intesa come sintesi più  rappresentativa  delle conoscenze  metallotecniche maturate nella bottega del  Ghiberti,  costituisce  un passaggio  fondamentale.  La possibilità di eseguire un esame accurato  delle  dieci  formelle  principali  e  delle otto formelle del fregio  smontate  per il  restauro,  unitamente  alla  disponibilità  di metodi analitici  avanzati,  permette  oggi di  affrontare  in  modo esaustivo  questo  studio, superando  tutta  una  serie  di  limitazioni  incontrate  dai  gruppi  di  lavoro  che  in   passato si  sono cimentati  su  alcuni  specifici  aspetti  tecnologici   di   questo   complesso capolavoro (Leoni 1968, Cesareo 1976, Leoni 1981, Parrini 1983).

Nel presente contributo, riportiamo una sintesi  degli  sviluppi  interpretativi  sulla tecnica di fusione delle  formelle,  formulata  sulla  base dei  dati ricavati  dall’esame obiettivo e l’analisi delle leghe di nove delle dieci formelle principali della porta, dalle radiografie della  formella  VIII  (Storie  di  Giosué),  dalla  sperimentazione  e  da  quanto già emerso nell’indagine metallurgica di primi anni ottanta (Parrini, 1983).

  1. La formatura delle cere

Osservando il retro delle formelle, ci si rende immediatamente conto che gli incavi  ivi presenti  seguono  generalmente,  anche  se  solo  grossolanamente,  i  rilievi  frontali.   Così ad esempio, nel caso della formella II (Storie di Caino  e Abele),  si può  notare come  il retro  riproduca  in negativo  non  solo  le tre  figure  aggettanti  in basso  (la  coppia  di  buoi e  le  due  raffigurazioni  di  Caino),  ma  anche  tutto  il  resto,  incluso  rilievi  minimi   come ad esempio quelli della scena del sacrificio (Fig. 1).

Una tale caratteristica è propria di una fusione a cera persa indiretta, in cui la formatura del rilievo in cera (positivo) che sarà fuso in metallo, avviene in un  calco (negativo) del modello di partenza,  scolpito  in materiale  plastico  (cera,  creta  o altro). Nel caso  delle  formelle,  la  realizzazione  del calco  implica  il  taglio  opportuno degli aggetti dal modello,  sul  quale  viene  anche  lasciato  abbozzato  ogni  altro  sottosquadro che può creare impedimento all’estrazione.

L’utilizzo  della  tecnica  indiretta,  definita  efficacemente  da  Leoni  “a  modello salvo” (Leoni 1984), è supportato anche dalla presenza di  numerosi altri dettagli morfologici individuati  sul  retro  delle  formelle,   la   cui   superficie   riproduce  con notevole grado di definizione quella della cere di fusione, fatta eccezione per le zone scalpellate e/o abbassate a cesello.

Le molte gocce, segni di pennellate e ispessimento manuale degli spigoli, che in qualche  caso  portano  impresse  impronte  digitali  (Fig.  2),  confermano  infatti   che  le varie operazioni di formatura della cera  sono  state effettuate  dal  retro dei rilievi, operando all’interno di un calco posizionato orizzontalmente.  Inoltre,  tali  evidenze forniscono indicazioni sulle modalità utilizzate per portare a spessore le cere.

In particolare, profili regolari e livellati, unitamente  alla  presenza  di  spigoli “rinforzati”  mediante   applicazioni   locali   di   cera,   suggeriscono   l’utilizzo   della cosiddetta tecnica “a  sciacquo”,  eseguita verosimilmente  dopo  l’applicazione  di  un primo strato  sottile  a  pennello  per  “copiare”  al  meglio  tutti  i  dettagli  della  superficie del calco.

Lo sciacquo consiste nel colmare con cera liquida l’intera cavità del calco e attendere per un tempo sufficiente  affinché  si  abbia  solidificazione  in  vicinanza della parete,   entro  lo  spessore   desiderato.   Trascorso   questo   tempo,   la  cera  in eccesso,

ancora liquida, viene recuperata  riversandola  in  un  contenitore.  In  questo modo  si ottiene uno  spessore abbastanza  omogeneo,  fatta eccezione  talvolta   per   gli  spigoli degli incavi, dove lo scorrimento della cera calda può causare assottigliamenti  che richiedono  applicazioni  manuali  di   cera   (rinforzi)   come   quelle   chiaramente riconoscibili su alcune formelle (Fig. 2).

Fig. 2 Retro della formella I (Storie di Adamo ed Eva) dove è schematizzata la corrispondenza con il rilievo  frontale  e  si  notano  le  tracce  di  un’alberatura  di canali  adiacenti  alla  superficie.  I dettagli  a destra evidenziano la presenza di  gocce e impronte digitali.

Quando, accanto alle caratteristiche morfologiche indicate  sopra,  si  riscontrano anche tracce diffuse di pennello, è indicativo  del  fatto che,  dopo  lo  sciacquo e l’eventuale  rinforzo  degli  spigoli,  è  stata  presumibilmente   applicata   un’ulteriore “stesura” di cera liquida, localmente o su tutta la superficie. L’operazione è stata evidentemente condotta al fine di aumentare lo spessore raggiunto con  lo  sciacquo, giudicato insufficiente in fase di verifica.  Viceversa,  in  assenza  di  tracce  di  pennello, profili  modulati  da   brevi   ondulazioni,   a  cui   corrispondono   talvolta   impronte  digitali, ci dicono che l’operazione finale di ispessimento della  parete  è  stata  un’applicazione (locale o generalizzata) mediante spalmatura manuale di una cera molle facilmente modellabile.

A questa seconda  classe  appartengono le  formelle VI  (Storie  di  Giuseppe ebreo), VII (Storie di Mosè), VIII (Storie di Giosuè),  IX (Storie  di David)  e, ad  una prima occhiata, III (Storie di Noè), anche se la spalmatura manuale non  è  sempre facilmente riconoscibile, poiché le tracce che essa lascia dipendono  fortemente dalla plasticità della cera e  dalla  tecnica  dell’operatore. Di  fatto,  essa  è  vistosamente evidente solo  sul  retro della formella  VII,  per  la presenza di  caratteristiche deformazioni date dalla  pressione  e  spinta  del  pollice  e  la  corrispondente  presenza  di un gran numero di impronte (Fig. 3).

Presentano invece tracce di spennellatura su tutta  la  superficie  o  buona  parte  di essa le formelle II (Storie di Caino e Abele), IV  (Storie  di  Abramo)  e X (Visita della regina di Saba a Salomone). In quest’ultimo  caso  i  segni di  pennello sono poco leggibili, forse a causa dell’impiego di una  cera  grumosa  o  di  una  terra  grossolana  su cera molle. Situazioni  intermedie  sono  rappresentate  dalla  formella  I  (Storie  di Adamo ed  Eva),  con  tracce  di  pennello  sulla  parte  alta  e  con  applicazioni  manuali  nella parte

bassa, e V (Storie di Esaù e Giacobbe), spennellata solo agli estremi alto e basso, con apparentemente pochi interventi manuali nella restante zona centrale.

Fig. 3        Dettagli  del  retro  della  formella  VII  (Storie  di  Mosè)  che  mostrano  gli   evidenti segni di applicazione manuale della   cera.

L’utilizzo della tecnica a modello salvo e  la  deduzione  dei  procedimenti  di formatura delle cere, hanno  trovato  una  conferma  nei  risultati  emersi  dall’analisi  dei rilievi digitali tridimensionali. A titolo  di  esempio,  in  Fig.  4 sono  mostrati  due  dettagli dei profili delle formelle I e VII da cui risulta chiaramente la stretta corrispondenza fronte-retro e la maggiore gradualità della prima rispetto alla seconda, contro  le ingiustificate variazioni di spessore che si osservano nella formella VII, attribuibili a deformazioni manuali.

Nel caso di quest’ultima, la presenza di tali forti modulazioni da spalmatura e lo spessore mediamente minore rispetto ad  altre  formelle  (quelle  analizzate  sono  I,  II  e VI), ci hanno indotto a pensare ad una formatura interamente condotta manualmente. L’importanza di una tale eventuale conclusione, merita però ulteriori verifiche e approfondimenti strumentali da estendere  all’intero  gruppo che  presenta  profili superficiali da spalmatura.

Assumendo la validità  delle  precedenti  interpretazioni,  possiamo  facilmente ipotizzare i passaggi successivi alle operazioni già descritte, sulla  base dei  tipici procedimenti  di  fonderia  artistica  ancora  in  uso.  Al  termine  della  formatura  nel  calco, il rilievo in cera è stato verosimilmente  estratto  per  essere  completato  operando  sulla parte frontale,  dove  sono  stati montati gli  aggetti   precedentemente   staccati  dal modello e formati a parte. Sono state quindi scolpite (in diretta) eventuali zone  in sottoquadro lasciate abbozzate onde  consentire l’estrazione del  calco   e,  più in generale,  sono  stati  rifiniti   una  varietà   di  dettagli.   L’ultima   operazione   sulla formella in cera, prima della copertura  con una terra  di fusione adeguata, è stata l’applicazione dei canali di colata.

4.Canali di colata

Le indagini radiografiche svolte sulla formella VIII (Storie di Giosuè),  in  accordo  con quanto già osservato negli  anni  ottanta  per  le  formelle  II,  VI,  e  IX,  hanno  messo  in luce la presenza di macroporosità concentrate nella parte alta del rilievo bronzeo (Fig. 5). La frequenza di questo fenomeno porta ad escludere il posizionamento orizzontale delle forme durante il getto, anche se non permette di stabilire  se  esse  erano perfettamente  verticali  ne,  tanto  meno,  se  i  rilievi  erano  in  posizione  naturale    (eretta) o rovesciata.

Tutto ciò è estremamente interessante, in  considerazione  del  fatto  che  non  sono stati  documentati  altri  casi  di  simili  canalizzazioni  su   opere   bronzee.  Normalmente, oggi, e si ritiene anche in passato, i canali di colata sono disposti a risalita (a sifone) e connessi alla superficie di fusione formando un certo angolo di incidenza rispetto alla direzione perpendicolare, diciamo tra 0°  e  60°,  comunque  mai  parallelamente  (90°), come nel caso presente.

Di fronte alle strane  disposizioni  risultanti  dalle  impronte,  ci  siamo innanzitutto chiesti se esse corrispondessero realmente ad alberature di canali  di  colata,  dal momento che  nel  corso dell’ispezione  era  stata anche formulata  l’ipotesi  che  dette tracce potessero essere state  lasciate  da una struttura  di sostegno  per la cera  realizzata con canne, bruciate durante la cottura della forma e riempite di metallo dal getto.

L’approfondita osservazione delle superfici e  dei  tratti  di  canali  residui  sulla formella IX  (Storie  di  David)  ci  ha  permesso  di  verificare  che  tale  struttura, applicata al termine delle operazioni per portare a  spessore  la  cera,  è  stata  effettivamente realizzata con canne di diametro  opportuno,  ripulite  e  tagliate  a  misura.  Queste  sono state  appoggiate  alla  superficie,  unite  tra  loro  con  cera  molle  e  fermate,  similmente, con  piccole  applicazioni  di  cera  (Fig.  6).  Ciononostante, stante  la  peculiarità  e notevole  variabilità  dei  segni  da  strappo  osservabili  sul  retro  delle  formelle   e alla blanda   adesione   delle   canne   alla  formella   in  cera  che  da  essi  si  evince, possiamo escludere che la  struttura sia  stata  concepita  come  un  sostegno.  Essa  sarà  risultata forse di un qualche ausilio durante la sformatura del rilievo  in  cera dal  calco  e le successive manipolazioni, ma costituiva primariamente un sistema di canali colata.

I dati fin qui emersi, permettono di interpretare la scelta  di una  canalizzazione  di colata adiacente alla superficie della formella come un’ingegnosa  soluzione  che  ha consentito  all’artefice  di  superare  le  difficoltà  di  un  getto  relativamente  sottile  per  la sua estensione, complicato ancora di più dall’utilizzo di una lega soggetta a rapida solidificazione  (vedi  oltre).  Verosimilmente  Ghiberti  è  giunto   a   un   tale  schema ottimale attraverso una lunga fase di sperimentazione.

Oltre ai contatti  stabiliti  tra  formella  e  canali  retrostanti,  l’esame  obiettivo  ha messo  in  luce  tracce  di  prevedibili  collegamenti  frontali  tra le  teste  delle  figure aggettanti e il  piano  principale  della  formella,  ma  non  di  altri  ingressi,  fatta  eccezione per un ulteriore probabile  canale  sul  retro  delle  formelle  II  (Storie  di Caino e Abele) e VI (Storie di Giuseppe ebreo).

Per completare la descrizione del getto rimane dunque da risolvere un quesito fondamentale:  in  quali  punti  e  in  che  modo  il   metallo   fuso   entrava   nella canalizzazione fin qui descritta?

Ci sono due  approcci possibili.  Osservando  che  il  prolungamento  ideale del canale centrale e i due angolari della parte bassa della formella (Fig. 6), in tutti i casi, individua  un’intersezione  poco  al  di  sotto  della  base,  sembrerebbe  naturale     collocare in tale punto di incontro quella che i fonditori toscani chiamano la  bevera  (imbuto d’ingresso del  metallo).  In  tal  caso,  la  fusione  è  avvenuta  con  il  metallo  in  caduta nella forma posta con le figure capovolte. Viceversa, se consideriamo una fusione  in posizione naturale, si giunge  in  maniera  quasi  obbligata  ad  uno  schema  di  getto  a risalita. Se si  esclude  poi  che,  per  evidente  impraticabilità,  il  metallo  potesse  fluire  da un unico punto d’ingresso posto in basso in corrispondenza  del  già  citato punto d’incontro  dei  canali,  non rimane  che ipotizzare  l’alimentazione   dell’alberatura   a contatto con un’ulteriore sistema di canali più distanti dalla superficie.

Seguendo questa strada però, risulta poco immediato  giustificare  la  funzione  di canali che corrono sulla parete. In  un  precedente  lavoro  (Siano  2005)  abbiamo ipotizzato  che  tale disposizione  longitudinale  potesse  avere  un  ruolo   di   sfiato   ed essere utile a ridurre il numero di bolle nel fuso, qualora la forma fosse stata  posta in posizione   non   perfettamente   verticale,   ma   leggermente   inclinata.    Questa impostazione,  nonostante  la  sua  complessità  è  stata presa   in  considerazione poiché essa è più vicina alla concezione della fonderia moderna rispetto al  getto  a  caduta, e forniva quindi maggiori aspettative di successo nella sperimentazione in programma.

       5.Leghe

Le composizioni delle leghe utilizzate per la  fusione  delle  formelle  della  Porta  del Paradiso sono sostanzialmente diverse da quelle usate dal Pisano  per  la  fusione  della prima porta e dallo stesso Ghiberti per la seconda  e  i  telai  della  stessa  Porta  del Paradiso. Nonostante si tratti in tutti  i  casi  di  leghe  quaternarie  di  rame  (Cu),  zinco (Zn), stagno (Sn) e piombo (Pb), con tracce non trascurabili di ferro e antimonio c’è un’enorme differenza nelle frazioni  di  peso  relative.  Invece  delle  alte  quantità  di  zinco dei lavori precedenti (dal 10 al 20 wt% circa), che sommate  allo  stagno  e al piombo portano a valori compresi  tra  il  17  e  il  26%  (somma  dei  metalli  bianchi), sembra proprio   che   per   la   realizzazione   delle   formelle   venga   progettata   ex-novo   una lega bronzea a basso contenuto di alliganti. In  Tab.  1  sono  riportate  le  analisi di tre formelle, scelte per rappresentare l’intera situazione composizionale.

La lega della formella IX (Storie  di  David)  è  quella  a  minor  contenuto  di alliganti, con un totale di metalli bianchi del 2.64 wt%, mentre per tutte le altre questa percentuale è compresa tra quella della formella VII (Storie di Mosè) e  quella  della formella I (Storie di Adamo ed Eva), maggiormente alligata.

Fig. 6       Schemi delle alberature di canali sulle formelle VIII (Storie di Giosuè) e IX (Storie di David) inizialmente realizzate con canne. I  tratti  bianchi  nel  primo  indicano le zone di contatto con la parete del rilievo evidenziate da segni di strappo e tagli a scalpello. Il dettaglio della superficie metallica a destra mostra le tracce dell’attaccatura a cera della parte terminale di una   canna.

Nei resoconti  della precedente  campagna radiografica,  il  dato  delle “bolle in alto” è stato  utilizzato  come evidenza  del  posizionamento  verticale  delle forme, rimanendo  sottinteso  il  verso naturale delle figure. Non  è  stato però  affrontato il grosso problema di  stabilire  la  compatibilità  di  una  tale interpretazione  con  le complesse tracce di canali che  si  riscontrano  sul  retro  di  tutte  le  formelle,  ossia  non sono state formulate ipotesi sulla  configurazione  e  dinamica  del  getto.  Prima  di addentrarci in questo importante aspetto, riassumiamo le evidenze.

Sul retro di tutte le formelle, sono presenti “strane  ramificazioni”  (Fig.  2) interpretabili come tracce di canali che correvano  lungo la  superficie.  Le  lacune da strappo  e  i  segni  di  taglio  a  scalpello  prodotti  in  fase  di  nettatura,  testimoniano  che in

tali canali è  passato  il  metallo  fuso e  che  essi erano  comunicanti  con  la cavità principale della forma  in  varie  zone.  La  Fig. 6  mostra  il  retro  delle  formelle  VIII (Storie di  Giosuè)  e  IX  (Storie  di  David)  e  in  cui  è  schematizzata  la disposizione che si  evince  dalle  tracce  presenti.  Per  la  formella  VIII  sono  anche  evidenziate  in  bianco le zone principali in  cui  è  avvenuto  scambio  di  metallo  liquido  tra  i  canali  e  la cavità del rilievo, esse corrispondono alle lacune da strappo e ai tagli menzionati poco sopra.

CampioneCu wt%Sn wt%Pb wt%Zn wt%Fe wt%Ni wt%Ag wt%Mn wt%Au wt%Co wt%Sb wt%
VII (Mosé)93.510.131.143.780.130.140.060.000.000.000.13
Metalli bianchi5.05
I (Adamo ed Eva)91.122.091.373.430.470.220.050.000.000.030.44
Metalli bianchi6.89
IX (David)95.190.700.841.100.380.170.050.000.000.020.50
Metalli bianchi2.64

Tab. 1. Composizione media rappresentativa di tre   formelle

Leghe siffatte si prestano bene a  lavorazioni  meccaniche  di  cesellatura  e scalpellatura e, per l’alto contenuto di rame e basso contenuto di piombo, sono adatte alla  doratura  ad  amalgama  di  mercurio.  Il  basso  alligaggio  e  minime  quantità  di piombo comportano però  una  bassa fluidità e  temperature  di  solidificazione relativamente alte,  il  rende  la  fusione  problematica.  Come per  la  canalizzazione  del getto, anche la scelta del tipo di lega rappresenta certamente un punto di  arrivo fondamentale  dello studio preparatorio  condotto   dall’artefice.   È  ragionevole   ritenere che la complessa canalizzazione sia diretta conseguenza della scelta della lega.

      6. Sperimentazione

A valle delle indagini fin qui descritte,  al  fine  di  approfondire  la  relazione  tra  i  dati emersi e le varie  fasi esecutive  individuate  e  soprattutto  per  giungere  ad un’interpretazione  univoca  della  configurazione  del getto,  abbiamo   ritenuto   utile condurre un’accurata sperimentazione in fonderia.

A partire da un calco della formella V (Storie di Esaù e Giacobbe) in gomma siliconica,  privato  delle  parti  più  aggettanti  delle  figure  in  basso,  sono  state    realizzate a sciacquo due copie in cera. In accordo con le deduzioni dell’esame obiettivo, dopo lo sciacquo, è risultato necessario eseguire un rinforzo di alcuni spigoli a  valle  dello sciacquo. Inoltre per il primo  dei  due  rilievi,  a  causa  di  una  sottostima  temporale,  è stato anche necessario un ispessimento manuale generalizzato.

Come canalizzazione a contatto è stata assunta quella riscontrata sul retro della formella VIII (Storie di Giosuè), per  la  quale avevamo condotto  un’approfondita indagine  radiografica.  I canali  sono stati  realizzati  con pezzi  di canna  collegati  tra loro a cera. Piccole quantità di cera sono state poi spalmate  nelle  cavità  tra  le  canne  e la parete  della  formella,  onde  assicurare  il  buon  contatto  e  quindi  scambio  di  metallo fuso in fase di getto.

Sformati i rilievi, solo per uno  dei  due  sono  state  eseguite  le  finiture  in  diretta sulla parte frontale, mentre l’altro è stato lasciato come da  calco.  Si  è  proceduto quindi all’applicazione dei canali di trasferimento dalla bevera all’alberatura su retro, seguendo le  due  diverse impostazioni  descritte  sopra e  i  corrispondenti  canali  di sfiato.  Per  questa  prima  prova,  in  entrambe  i  casi  abbiamo  preferito  massimizzare il numero  di  canali  di  colata,  sfruttando  il  più possibile  la  cornice   dove   eventuali attacchi potrebbero essere stati resi irriconoscibili dalla  nettatura. In  Fig.  7  sono riassunte le varie fasi sperimentazione fin qui descritte. Si noti che nella foto Fig. 7e l’alberatura a caduta è posta su  una  copia  della  formella  VI (Storie di Giuseppe),  che sarà poi sostituita da un’altra copia della formella V  (Storie  di  Esaù  e  Giacobbe)  nel corso della sperimentazione.

Con l’obiettivo  di  ottenere  anche  una  prima  simulazione  della  copertura  di fusione, abbiamo eseguito una  serie di  prove   preliminari   utilizzando   un  impasto terroso il più possibile  simile  a  quello  ritrovato  in  piccole  quantità  sul  retro delle formelle,  costituito  da  legante argilloso,  sabbia e  fibre vegetali (stoppa).   Questa miscela di materiali, totalmente diversa dal loto oggi  impiegato  nella  fonderia  artistica (gesso più  gesso spento), rendono la  costruzione  del  mantello molto   complessa e lunga.

Dopo un’accurata spennellatura della  cera  con  un  impasto  più  fine  e  privo  di fibre vegetali, essa va eseguita a piccoli strati, aspettando  ad  ogni  applicazione  la completa e graduale asciugatura dello strato precedente. Stante la criticità di questa operazione,  che  rischiava  di  compromettere  l’intera  sperimentazione,  ci  siamo  limitati alla realizzazione di uno spessore a  terra di  qualche centimetro  solo  su  una  delle formelle (Fig. 8a e 8b),  completando  la  costruzione  del  mantello  con  loto  moderno, usato anche per  la  copertura  della  seconda  formella.  È utile  notare  che  la realizzazione di uno strato in terra di pochi centimetri ha richiesto oltre un mese di lavorazione.

Dopo la copertura, le forme sono rimaste ad asciugare per qualche  giorno.  Sono state quindi sottoposte ad un primo moderato riscaldamento per l’estrazione della cera e  infine  cotte  gradualmente  fino  ad una  temperatura  massima  di circa  600  °C.  Dopo il raffreddamento  lento,   le  forme   sono  state   interrate   in  posizione   leggermente inclinata e  infine  colmate  di  metallo  fuso,  utilizzando  una lega  quaternaria   di  composizione vicina alla media di quelle misurate per le varie formelle.

Per la formella  con  canalizzazione  a caduta  e copertura  in  gesso,  è stato ottenuto un  ottima  fusione  (Fig.  8f), con  pareti  integre,  poche  bave e   buona  finitura superficiale.  Questo risultato  è  molto importante  poiché  dimostra  la   praticabilità del getto a caduta, ipotizzato qui per la prima volta.

Dopo un’accurata spennellatura della  cera  con  un  impasto  più  fine  e  privo  di fibre vegetali, essa va eseguita a piccoli strati, aspettando  ad  ogni  applicazione  la completa e graduale asciugatura dello strato precedente. Stante la criticità di questa operazione,  che  rischiava  di  compromettere  l’intera  sperimentazione,  ci  siamo  limitati alla realizzazione di uno spessore a  terra di  qualche centimetro  solo  su  una  delle formelle (Fig. 8a e 8b),  completando  la  costruzione  del  mantello  con  loto  moderno, usato anche per  la  copertura  della  seconda  formella.  È utile  notare  che  la realizzazione di uno strato in terra di pochi centimetri ha richiesto oltre un mese di lavorazione.

Dopo la copertura, le forme sono rimaste ad asciugare per qualche  giorno.  Sono state quindi sottoposte ad un primo moderato riscaldamento per l’estrazione della cera e  infine  cotte  gradualmente  fino  ad una  temperatura  massima  di circa  600  °C.  Dopo il raffreddamento  lento,   le  forme   sono  state   interrate   in  posizione   leggermente inclinata e  infine  colmate  di  metallo  fuso,  utilizzando  una lega  quaternaria   di  composizione vicina alla media di quelle misurate per le varie formelle.

Per la formella  con  canalizzazione  a caduta  e copertura  in  gesso,  è stato ottenuto un  ottima  fusione  (Fig.  8f), con  pareti  integre,  poche  bave e   buona  finitura superficiale.  Questo risultato  è  molto importante  poiché  dimostra  la   praticabilità del getto a caduta, ipotizzato qui per la prima volta.

Non  sono  disponibili  documenti  che  riportano   espliciti   riferimenti   alla metodologia operativa qui dimostrata, ma, a tal proposito, ci  sembra  utile  proporre qualche commento sui trattati del Cinquecento e sulle memorie Ghiberti.

La descrizione dettagliata del Vasari di tutti  i  passaggi  del  metodo  indiretto (scultura  del  modello, realizzazione  del  calco, sciacquo etc.) ci  fa  intendere   che si tratta di una procedura largamente utilizzata.  Inoltre,  egli  sostiene  che  per  la  seconda porta  del  Battistero,  Ghiberti  iniziò  il  lavoro  realizzando  “un  telaio  grande  di   legno…con gli ornamenti delle teste …e con que’ fregi che andavano intorno” da cui ricavò la forma. Avrebbe  quindi  eseguito  un  modello  salvo  del  telaio  che,  sempre  in base all’aneddotica  del  Vasari,  gli  tornerà  subito  utile  per  fare  un’altra  forma,  dopo che  la  prima  fusione  era  andata  male.  Come  già  detto  nelle  note  introduttive, bisogna considerare con molta cautela il  contenuto  tecnico dei  trattati cinquecenteschi. Qui, accanto all’importanza del racconto in  se,  ci  sembra  interessante notare  come un cultore di tecniche  del  Cinquecento  descriva  con  gran  naturalezza  quello  che  invece uno della fine del  Trecento,  come Cennino  Cennini,  non  accenna  nemmeno. Quest’ultimo infatti parla di calchi in gesso o in cera e di getti in  cera  utili  alla ricomposizione di un modello tratto  a  pezzi,  ma  per la  restituzione  in  metallo  egli rimanda ai fonditori (“Abbi pur maestri sofficienti, che del fondere e del buttare s’intendano.”) oppure parla di fusioni piene in piombo.

La possibilità di ripetere il getto e di integrare parti  mancanti  del  fuso rientrano, infatti, tra  le  motivazioni  che  inducono  a  creare  un  modello,  ma  per  un’opera complessa come la Porta del Paradiso ve ne sono anche altre. Una la spiega con gran chiarezza il Cellini: “avendo quel bel modello innanzi finito, molti giovani ed altri bonissimi lavoranti possono aiutare a rinettare la detta figura, che, non avendo il modello innanzi, con mala satisfazione del povero maestro, rinettano  quelle tale opere di modo che vi si mette più tempo e si conducono manco bene”.

Come anticipato, anche nelle memorie del Ghiberti sembra  di  scorgere  qualche velato  riferimento  alla metodologia  esecutiva.  Nel   suo   racconto   infatti,   il concepimento delle dieci formelle è descritto come primo atto e in modo unitario: “Cominciai detto lavorio in quadri …istorie del testamento vecchio nelle quali mi ingegnai con ogni misura osservare in esse …condussi detta opera …Furono istorie dieci tutti in casamenti, colla ragione che l’occhio gli misura e veri in modo tale, stando remoti, da essi appariscono rilevati”.

Cosa scorre nella mente dell’artista mentre, a  distanza  di  molti  anni,  ricorda  le varie fasi della nascita del capolavoro? Come, e su  cosa  si  svolge  il  suo  travaglio creativo? Modella, corregge e integra osservando  a  fondo le  scene della  singola formella, ma  sembra  proprio  che  egli  faccia  riferimento  anche  alle  scelte  figurative  e alle correzioni prospettiche decise e condotte  sull’intero  gruppo scultoreo  che, a titolo di  ipotesi,  possiamo  immaginare  collocato  in  un  telaio   di  legno  come  quello   riferito dal Vasari per la seconda porta. Una prova indiretta, anche se non rigorosa, di  questo modo di procedere sembra emergere  dalle  complesse  relazioni  metriche  tra  le  figure delle varie formelle. Solo per portare un esempio, sono l’occhio e  la  mente che restituiscono armonia tra l’altissima  Eva  e il  vicino  giovane  Caino,  un  po’  più  basso, e gli  ancora più  bassi portatori  di  pietre, più  prossimi allo  sguardo dell’osservatore. Come ha efficacemente sintetizzato il Vasari (“Nella qual opera, da per  se  e  tutta insieme  …”), l’approccio  unitario  è  poi  riconoscibile  nelle  scelte  figurative (Krautheimer 1956, Paolucci 1996,  Caglioti  in  questo  volume).  La  più  evidente  dal punto  di  vista  puramente prospettico è  data  dalla  collocazione  delle  figure,   dalle poche  della  parte  alta  alle  moltitudini  delle  formelle  più  prossime  all’osservatore.   Se nel primo caso ciò è  stato in  parte determinato  dalle esigenze di  narrazione, nel secondo sembra proprio che si tratti di un effetto voluto.

Sia ben  chiaro, non  disponiamo  di  dati  incontrovertibili  per  poter dire  che  le dieci formelle sono state concepite  tutte assieme, in  un  dato  arco  di  tempo, o  in gruppi. Siamo condotti a  considerare  queste  possibilità,  come  pure  un’attività  creativa che avanza con buon margine di  tempo  rispetto  a  quella  fusoria,  dall’evidenza  del metodo indiretto. Ci sembra viceversa improbabile che il Ghiberti operi sul gruppo figurativo dando disposizioni per il calco, la formatura e la fusione,  subito  dopo  aver scolpito il modello della singola  formella,  a  meno di  non  spostare  l’intera  fase progettuale al disegno preparatorio. Nei prossimi lavori  porteremo  approfondimenti  su questi     aspetti     che,     coinvolgendo      appieno     l’ambito     stilistico      e     archivistico, richiederanno       ulteriori      scambi       e     sintesi       multidisciplinare.      Torniamo       intanto all’oggetto principale del presente lavoro: la tecnica di fusione.

Qual’è la materia scelta dall’artista per la creazione dei modelli? Essa doveva consentire  una  facile   e   precisa   modellabilità,   correzioni   e  integrazioni  eventualmente su tempi relativamente lunghi. È  molto  probabile  che  si  trattasse  di  cera,  la  prima materia che Vasari indica per figure piccole.  Dai  modelli  in  cera si  passava verosimilmente ai calchi in gesso e da questi alla formatura dei rilievi per la fusione, essenzialmente a sciacquo.

Accanto ai vantaggi del metodo  indiretto  già  citati,  è  molto  importante ricordare qui che  la  formatura  in  calco  costituisce  il  modo  migliore  per  realizzare  pareti  sottili che, se da un  lato consentono risparmio e leggerezza del fuso, dall’altro costituiscono per Lorenzo un  ulteriore  elemento  di  emulazione  dell’antico.  Questo  obiettivo  tecnico non si era  ancora  manifestato  con  le  grandi  fusioni  del  San  Giovanni  e  del  San Matteo, mentre si percepisce chiaramente nei rilievi della Porta del Paradiso ed  è interessante notare come esso sia evidente  anche  nelle  opere  di  Donatello  degli  anni trenta (Siano 2005). Prima di trarre conclusioni su quest’aspetto, è di fondamentale importanza condurre un’indagine approfondita anche sulla prima porta.

Ancora il Vasari, nel riconoscere all’artista  “l’artificiosissimo  magistero del getto”,  mostra gran  considerazione  per  quest’aspetto  metallotecnico.  Egli  lo indica come gran segreto della bottega dei  Ghiberti,  a  cui  terrà  fede  anche  Buanaccorso  nel suo Zibaldone, dove per la verità non fornisce alcun dettaglio  sulle  modalità  di getto  e sulle leghe (Scaglia 1976).

Il metodo indiretto e lo sciacquo costituiscono di fatto una parte del “segreto di gettare le cose in modo che venissono sottili”, di cui  risulta  difficile  individuare  la valenza generale per mancanza di dati su opere precedenti, l’altra è  data  dalla disposizione dei canali di colata, dalla scelta della terre di fusione e  dalla corretta costruzione del mantello. Per motivi di spazio, degli aspetti tecnici relativi alle  terre scriveremo  altrove,  vogliamo  invece  qui  riportare   un   approfondimento   sul   primo punto e l’importante conclusione a cui esso ci ha condotti.

Prima della sperimentazione, anche noi come chi ci ha  preceduto,  avevamo trascurato un aspetto che era lì, sotto gli occhi di tutti da circa venti anni. Le porosità che si vedono nelle radiografiche, da sempre definite  come  bolle,  in  buona  parte  non sono bolle  in  senso  stretto.  Vale  a dire  esse  non sono state prodotte  da gas. Viceversa, si  tratta  di  cavità  metalliche  che  intrappolano  pezzi  di  terra  del  mantello  trasportati nella forma dal flusso di metallo fuso. Questo è  messo  in  luce con  chiarezza nel particolare radiografico di Fig. 10, dove i profili  poligonali  delle  cavità  metalliche  non sono certamente stati generati da intrappolamento di gas.  I frammenti  di mantello  che esse racchiudono,  si  sono staccati  in  corrispondenza  della  ramificazione  di  canali applicati sul retro  della  formella,  come  si  evince  dalla  superficie  irregolare  e  casuale delle zone di imparentamento riconoscibili sopra le frecce in Fig. 10.

Tutto ciò permette di affermare che,  dopo  la  formatura  e  finitura  del  rilievo  in cera, Ghiberti preparava un getto  a  caduta  mediante una  “artificiosissima” canalizzazione  che correva  lungo  il  retro  della  formella.   Soluzione   verosimilmente dettata dal fatto che la colata attraverso un certo numero di canali di discesa applicati sul lato alto della cornice,  non  forniva  buoni  risultati,  a  causa  della  scarsa  fluidità  e rapida  solidificazione  della  lega.  La   composizione   di   quest’ultima   era vincolante, poiché essa era stata ottimizzata  per  ottenere  una  facile  lavorabilità  a  freddo  e  una buona doratura finale ad amalgama, decisa fin dapprincipio.

Il flusso di metallo che raggiungeva la cavità attraverso i canali, era in grado di complementare  efficacemente  l’alimentazione   proveniente   dalla   base   della  cornice posta  in  alto,  grazie  al  cammino  minimizzato  e  alla  distribuzione  sull’intera ampiezza della formella.  Questo  artificio  produceva  anche   una   moderazione   del   flusso di metallo attraverso le figure più  aggettanti,  contribuendo  così  a  prevenire  gravi effetti erosivi che avrebbero peggiorato notevolmente il risultato di fusione.

Le tracce dei canali oggi osservabili ci inducono a ritenere che essi fossero poco più che appoggiati al retro  delle  formelle  e  che  la  copertura  terrosa  quasi  li  isolava dalla cavità della forma. Ciò  implica  che  all’atto  del  riempimento,  il  metallo  fuso  si faceva strada rompendo in parte le  fragili  pareti  terrose  in  prossimità  della minima distanza tra il canale e la forma vera e propria. Si trattava di un altro trucco ingegnoso per poter facilmente rimuovere la struttura metallica che  i  canali  lasciavano  dopo  la fusione. Lui sapeva  che  questo  modo  di  procedere  “sporcava”  il  getto  nella  parte piana, ma evidentemente questo era considerato un male necessario.  Per  la  verità,  ci siamo addirittura chiesti se la presenza di frammenti di  forma  nel  getto  non  fosse addirittura un  fatto  voluto,  ma  al  momento  una  tale  eventualità  non  sembra  sostenibile in alcun modo.

Per  i  dieci  rilievi  sono state  realizzate  almeno  cinque  diverse   canalizzazioni Questo suggerisce  due  possibili  ipotesi diametralmente  opposte. Da  un  lato  si potrebbe pensare ad una serie di incidenti in corso d’opera che hanno  richiesto  la ripetizione di alcune fusioni e indotto  ripensamenti  sui  canali  di  colata,  dall’altro, che l’idea di base fosse considerata così solida da lasciare agli addetti  di bottega  una certa libertà d’interpretazione. Proprio perché in tutti i  casi è  fatto  salvo  il  principio dell’aderenza  e  della  distribuzione  dei  canali  sull’intera  superficie  delle formelle, riteniamo allo stato questa seconda possibilità decisamente più verosimile della prima.

  8. Note finali

In questo lavoro, sono stati presentati dati e argomentazioni che  costituiscono un significativo   avanzamento   conoscitivo  sulla  tecnica  esecutiva  della  Porta  del    Paradiso e, più in generale, sulla  fonderia  artistica  del primo  Rinascimento.  Le  conclusioni raggiunte  aprono  una finestra  sulla  grande  inventiva   tecnica   di   Lorenzo   Ghiberti  e sulle basi metodologiche che gli hanno consentito di sviluppare il suo ideale  artistico attraverso  la  complessa  disciplina  della  plastica  bronzea,  che  nel  caso  della  Porta    del Paradiso diventa anche scultura in senso stretto, se si considera l’enorme  lavoro  a freddo che su di essa è stato condotto.

Molto rimane ancora da indagare sulla sua opera e su quella dei suoi più diretti collaboratori, per meglio comprendere quel virtuoso evolvere delle conoscenze metallotecniche che giungeranno a completa maturazione nel secolo successivo.  Ed  è proprio con un estratto del parere  tecnico  di uno  dei  massimi  artefici  del  Cinquecento che ci piace concludere questo viaggio ideale nei luoghi  sconosciuti  di  una  delle  più brillanti menti  del  Rinascimento. Scrive  Cellini:  “Lorenzo  Ghiberti  fu  veramente orefice sì alla gentil maniera del suo bel fare, e maggiormente a quella infinita pulitezza et estrema diligenzia. Questo uomo si può mettere per uno  eccellente orefice, il quale tutto impiegò e messe il suo ingegno in quell’arte del getto di cotali opere piccole … e per questo noi lo chiameremo veramente un buono maestro di getto: et a questa tale professione solo attese, e questa fece tanto bene, sì come ancora oggi si vede, che nessun altro uomo ancora non l’ha raggiunto…